Dal libro Montese 1943 - 1945

libroTratto dal libro "Montese 1943-1945" pubblicato nel 1975 a cura delle scuole elementari a tempo pieno di Maserno e Salto, con la collaborazione degli insegnanti, per la stesura del profilo storico, e degli alunni, per la raccolta delle testimonianze.

Ricerche: Tosca Fiorini, Giuseppe Morsiani, Giancarlo Quattrini, Ettore Tondi e alunni.

Testo: Matilde Fili.

Fotografia: Walter Bellisi

Cartografia: Paolo Morsiani

Bibliografia: Eugenio Rastrelli ( Direttore didattico del circolo di Montese)





Il 25 luglio 1943 cadde il regime fascista.


     In tutta Italia, immediatamente, si accesero le speranze per una fine sollecita della guerra, in cui il paese era stato coinvolto dal 10 giugno 1940, che aveva causato infiniti lutti e devastazioni e aveva portato nella penisola l'occupazione tedesca e lo sbarco delle truppe alleate.

Il periodo di tempo che seguirà, fino al 25 aprile 1945, data della Liberazione, sarà invece più travagliato del precedente: nelle zone toccate dalla guerra, nei territori compresi nella repubblica di Salò, la popolazione sopporterà il peso dell'occupazione riportandone gravi disagi; al tempo stesso si svilupperà il fenomeno della Resistenza attiva con la quale saranno poste le premesse per la rinascita dell'Italia, libera, democratica, repubblicana.

Il fascismo cade per opera dei componenti stessi del Gran Consiglio: infatti all'ultimo capoverso dell'Ordine del Giorno Grandi, si invita il " Capo del Governo a pregare la Maestà del Re, verso il quale si rivolge fedele e fiducioso il cuore di tutta la nazione, affinché egli voglia, per l'onore e la salvezza della patria, assumere, con l'effettivo comando delle forze armate di terra, di mare e dell'aria, secondo l'articolo 5 dello Statuto del Regno, quella suprema iniziativa di decisione che le nostre istituzioni a lui attribuiscono e che sono sempre state, in tutta la nostra storia nazionale, il retaggio della nostra augusta dinastia di Savoia".

Tale ordine del giorno ottenne 19 voti favorevoli contro 7 contrari e 2 astensioni. Anche Ciano, genero di Mussolini, ministro degli esteri, votò favorevolmente. Quando Mussolini, alle ore 17 del 25 Luglio, si recò dal Re per riferire l'esito della seduta, il Re lo obbligò a dare le dimissioni e lo fece arrestare mentre stava raggiungendo la sua macchina. Pochi giorni dopo, Mussolini venne portato al Gran Sasso.

A Montese la notizia della caduta del regime fu "appresa tra noi con sorpresa, ma con calma, come con calma la nostra gente assistette agli avvenimenti e ai cambiamenti che per 45 giorni si susseguirono in senso, naturalmente, antifascista".

Mentre in Italia la popolazione sperava che la pace fosse imminente, gli alti comandi tedeschi, in base a piani già approntati per la prevista defezione dell'alleato italiano, facevano scattare la macchina bellica dell'esercito germanico, per predisporre le misure idonee a sostenere eventuali capovolgimenti di alleanze e di fronte, come di fatto avverrà.

Infatti il 27 luglio, nel quartier generale del Fuhrer si preparava l'operazione Akse ed è nota la frase del feldmaresciallo Keite: "Il compito più importante è quello di disarmare l'esercito italiano il più rapidamente possibile".

Subito cominciarono ad affluire in Italia notevoli forze tedesche che, ai primi di settembre, raggiunsero la consistenza di 17 divisioni.

Nella serata dell'otto settembre viene diffusa la notizia che il nuovo Governo Italiano, presieduto dal Maresciallo Badoglio, ha firmato l'armistizio con gli alleati.

E' sera. Nelle campagne si accendono, uno dopo l'atro, falò, simboli di festa. Siccome sono pochi i possessori di apparecchi radio, molti non si rendono conto del vero significato di tale manifestazione. Pertanto i falò, accompagnati dal festoso suono delle campane, fanno pensare piuttosto alla vigilia di una festa paesana. Ma in breve la notizia raggiunge anche il casolare più sperduto e tutte le osterie. Un pò per curiosità, e in modo particolare per dividere la propria gioia, la gente affolla le piazze e nelle osterie e nelle piazze si improvvisano feste e ballate. Tra i motivi di gioia c'è la speranza del prossimo ritorno dei famigliari dal fronte.

A Jola si celebra una funzione religiosa con il canto del "Te Deum" che vuole essere un ringraziamento per la sperata fine della guerra. Ma uno dei presenti, considerato un po’ strano, commenta: "non è finita, perché noi abbiamo in mano la lama, ma il manico del coltello ce l'anno i tedeschi".

A Maserno si preferisce festeggiare l'avvenimento intorno a una damigiana di vermouth e a parecchi fiaschi. Ma il segretario del fascio di Montese, che si trova in quel momento a Maserno, asserisce che non è il caso di dimostrare tanta gioia. Per questo motivo, viene a parole con uno sfollato antifascista a cui la discussione costerà poi cara perché il 18 novembre verrà condotto nelle carceri di S. Giovanni in Monte di Bologna.

A Castelluccio "quando alle ore 20 fu diramato il comunicato ufficiale, furono accesi fuochi di gioia, in men che non si dica; nei paesi, per quanto era dato vedere era tutto un falò....le campane pure, per opera dei più fanatici, si associarono al tripudio comune. La gente, chi corse alla chiesa ..... all'osteria, gli uni a pregare.... e ringraziare, gli altri a bere e a cantare, a schiamazzare; chi organizzò danze fino a tarda ora, vere orge pagane".

A S.Martino e Ranocchio si fà baldoria in piazza, nelle osterie e nelle case, e così pure a Montese.

A Salto le campane tacciono perché il parroco ha detto: "Far festa per una guerra perduta non mi sembra il caso, e poi...il nemico lo abbiamo...sempre in casa".

La notizia dell'armistizio non sorprende il quartier generale del Fuhrer. La risposta è immediata e, poco dopo l'annuncio di Badoglio, Hitler sferra l'operazione Akse: l'esercito italiano viene disarmato.

Molti soldati privi di ordini, abbandonano le armi, le più delle quali vengono recuperate dai tedeschi, anche se una parte viene raccolta e nascosta dai civili. Poi i soldati si preoccupano solamente di ricongiungersi, in ogni modo, alle loro famiglie: è uno sbandamento generale.

Mai come in questo momento gli italiani si sono sentiti uniti e specialmente le donne si prodigano in tutti i modi per aiutare i militari a fuggire; fornendoli di abiti civili, di cibo e di alloggio, dimostrando in questo modo una disinteressata e fraterna solidarietà.

Lo sbandamento generale dell'8 settembre permette anche la fuga di molti prigionieri alleati, racchiusi nel campo di concentramento di Fossoli di Modena, e di vari altri situati nel modenese. Molti di essi, nel tentativo di raggiungere il proprio esercito, attraversano la nostra zona, dove in un primo tempo la popolazione li accoglie con aperta simpatia e ospitalità. Però, in seguito, all'affissione dei primi manifesti da parte del comando superiore delle forze armate germaniche in Italia, si diffonde, tra la popolazione, un certo timore di rappresaglia nazi-fascista che si dimostrerà non infondato. Infatti, la notizia della liberazione di Mussolini dal Gran Sasso (avvenuta per opera del comandante tedesco Skorzeny il 12 settembre 1943) e il sorgere della Repubblica Sociale Italiana, costituiscono, per i fascisti, protetti dalle armi tedesche, motivo per tornare temibili.

Nelle piazze, i muri delle case si vanno ricoprendo di manifesti che richiamano perentoriamente alle armi i soldati del disciolto esercito italiano, minacciando ai disertori gravi pene.

Nell'animo, sopratutto dei giovani, nasce un inquietante dilemma: che fare? Lasciarsi intimorire dalle minacce? Rendersi quindi consapevolmente responsabili delle prepotenze in cui verranno inevitabilmente coinvolti? O non tentare di resistere, nella speranza di vedere rovesciata la situazione a danno dell'ex alleato? Ma questo significa nascondersi e aspettare. Ed è difficile. Resta però un'altra alternativa: è sempre preferibile un fucile a un nascondiglio.

Si è deciso.

Nasce così la necessità di darsi alla macchia: si tratta ancora di persone isolate, un confuso unirsi di gente tra i cui componenti non tutti hanno le idee chiare sul da farsi.

Non essendosi mai costituite nel nostro Comune formazioni partigiane vere e proprie, quelli che avevano capito o intuito il significato vero della Resistenza, si aggregarono a formazioni già esistenti nei dintorni.

Il fenomeno della nascita della Resistenza ha un tragico riscontro dalla parte opposta: la Milizia Fascista infatti reagisce esprimendosi in rappresaglie e violenze.

Dopo questo subitaneo inasprimento della situazione, l'inverno passa abbastanza tranquillo, se si eccettua il richiamo delle classi 1923/24/25, con cui il Maresciallo Graziani intende dare una prova di forza del regime che prevede, tra l'altro, rappresaglie nelle famiglie dei renitenti.

Di tali rappresaglie, che sui esprimono concretamente in angherie d'ogni sorta si fa esperienza anche nella nostra zona. Strettamente collegato a tale fatto è il fenomeno delle spie, il terrore delle quali crea negli animi delle persone un clima di diffidenza che contribuisce ad accentuare, in un momento già così critico, l'esasperazione generale.

Nei giovani, l'idea di una organizzata resistenza ai tedeschi prende corpo all'inizio della primavera del 1944, quando alcuni promotori, tra cui particolarmente Ricci Mario detto "Armando", cominciarono una certa forma di propaganda clandestina. Si sa che la sera di giovedì grasso nella casa del Fusetti, a S.Martino, durante una festa da ballo, Armando incoraggia quanti sono presenti ad aderire al movimento partigiano.

Alcuni giorni dopo, il 2 marzo 1944, Casolari Bruno, ritenuto prima complice dei partigiani, poi spia dei fascisti, viene trovato morto: è stato ucciso dai partigiani. Questo fatto provoca una crisi di coscienza in molti che avevano intravvisto nel Movimento Partigiano la realizzazione di un ideale pulito e senza compromessi, ma il momento non permette di pensare troppo, l'incalzare dei fatti fa presto dimenticare l'incidente e le file dei partigiani si arricchiscono di molti nuovi elementi, provenienti anche da diversi eserciti sbandati e dai vari campi di prigionia: russi, francesi, inglesi e polacchi.

Ma i fatti di sangue sono appena all'inizio: già il 20 marzo 1944, in via Panoramica, a Montese, viene fucilato dai fascisti Santi Rinaldo che era stato preso il giorno precedente e aveva trascorso la notte nella caserma dei carabinieri di Montese.

Ormai le rappresaglie si susseguono, alternativamente, a catena, e con ritmo ininterrotto: non passa mese che, da tutte due le parti, non ci siano morti, e tanti sono quelli che subiscono violenze di ogni sorta.

E' nel periodo tra maggio e giugno che la situazione si fa particolarmente critica, sopratutto per i civili presi di mira, per motivi diversi, da fascisti e partigiani. Squadre di fascisti, infatti, arrivano in ogni casa, con elenchi alla mano, per ricercare renitenti alla leva e i disertori, ma l'azione ottiene il risultato contrario a quello voluto: si nota infatti un considerevole aumento dei partigiani, alcuni dei quali, come quindi si può capire, lo diventano solamente per sfuggire al reclutamento nazi-fascista, senza rendersi conto del grosso impegno che vanno assumendosi. Questa può forse essere la ragione per cui oggi, quando si parla di partigiani, la nostra gente non è concorde nell'esprime parere favorevole su di essi. Molti lamentano infatti la prepotenza con cui alcuni partigiani invadevano le case per impossessarsi di oggetti non sempre strettamente necessari alle loro esigenze di cibo, di vestiario e di equipaggiamento. Ma questi sono appunto quei partigiani che hanno aderito al movimento per necessità e che vengono definiti "senza idee chiare sul da farsi". Si tenga inoltre presente che c'è anche, purtroppo, chi intravede l'opportunità di sfruttare una situazione per operare scorrerie, coperto dal nome "partigiano", nelle varie case, impegnato a far razzia, facilitato dalla protezione di un'arma che è un po’ la sua carta di presentazione.

Questo discorso esclude decisamente quei partigiani che si sono fatti del movimento un ideale di vita e in nome di esso combattono al fine di determinare la soluzione di un conflitto in cui è in gioco la libertà di un popolo. Questi ultimi infatti, pur spinti dalla necessità della guerra e male approvvigionati, si presentano sì alle case, ma solo per chiedere un po’ di pane, qualche vestito e un eventuale alloggio per la notte. E di quanto prendono, rilasciano regolare ricevuta che permetterà, alla fine della guerra, un, se pur piccolo, rimborso a chi ha prestato loro aiuto.

Stimolati a ben comportarsi, i partigiani lo sono sopratutto dai capi che ben sanno quanta importanza abbia per loro l'appoggio dei civili che pertanto non vanno esasperati. A questo fine, si prospetta addirittura l'idea del tentativo di istituire una eventuale "polizia partigiana" atta a mantenere l'ordine, la disciplina e la serietà tra le file stesse delle varie brigate, provvedendo anche a punire i trasgressori.

Nell'estate e nell'autunno, la situazione, nella nostra zona, peggiora ancora perché, alle rappresaglie fasciste già in atto, si aggiungono ora i soprusi dei tedeschi che ormai sono padroni della zona. Essi, infatti, resi esasperati nella loro azione dall'ordine di Kesserling per quanto riguarda il reclutamento di mano d'opera, compiono indiscriminati rastrellamenti di massa.

"Ma cosa c'entrano i tedeschi in questa zona?" qualcuno potrà chiedersi. a spiegazione è abbastanza semplice: già nel luglio si erano notati dei movimenti strani, a prima vista inspiegabili. Ufficiali e sottufficiali tedeschi avevano cominciato a perlustrare la zona: visitavano case e stalle e se ne andavano. Più tardi si capirà il perché, e la situazione, a questo punto, si farà paradossale perché quella che, secondo molti, avrebbe dovuto essere una zona tranquilla, adatta per eventuali sfollamenti, si rivelerà invece teatro di tragedie e massacri. Infatti i tedeschi, in previsione di un inverno da affrontare, altro non stanno facendo che cercare una zona adatta ad accamparvisi e dove, eventualmente, tentare l'estrema resistenza prendendo come caposaldo il crinale Monte Belvedere-Ronchidoso-Cargè-Monte Castello e, più a nord, Monte Torraccia (Monte Francescone) e Monte Vedette.

Ricevuto l'ordine da Kesselring di effettuare fortificazioni e camminamenti nella suddetta zona con piazzamento sparso di armi pesanti, i tedeschi si affrettano ad appostarsi. Pertanto sulle montagne si seguono queste disposizioni, mentre nelle retrovie, più a nord, in prossimità delle strade, vengono piazzati cannoni di grosso calibro. Alla fine dell'estate tutta la zona è sotto controllo dei tedeschi. Ma questo non avviene in maniera pacifica, tutt'altro: il periodo è costellato da una serie di incidenti, alcuni dei quali si rivelano mortali.

La battaglia di Montefiorino aveva determinato la caduta della 1a Repubblica Partigiana, ad opera dei tedeschi.

In seguito a questo, il grosso dei partigiani, guidati da Armando, si ritira nella zona di Rocchetta Sandri. Durante uno spostamento verso Montespecchio, giunti alla confluenza del Leo con lo Scoltena, in località Mulino del Leo, i partigiani si trovano a dover sostenere un attacco tedesco convergente su di loro da Sestola e Verica. Lo scontro determina una decina di vittime tra le file partigiane. Si tratta di uno dei combattimenti più duri sostenuti nella zona.

Poi la tragedia prende ad infuriare nella zona di Monte Belvedere. Il 21 settembre un gruppo di partigiani era stato attaccato nella zona di Sassoguidano. Lo scontro era stato durissimo. In un primo tempo, i partigiani avevano sostenuto abbastanza facilmente l'urto avversario, ma lo sganciamento della brigata Matteotti, che pertanto lasciava scoperto tutto il fronte nord, aveva fatto temere il pericolo di un accerchiamento tedesco; per cui si era pensato bene di riparare verso Ranocchio e Montespecchio. Successivamente, seguendo la valle del Leo, i partigiani erano arrivati al lago Pratignano, una zona disabitata e sprovvista di tutto. Si trattava ora di scegliere: tornare a valle o proseguire: decisa quest'ultima soluzione, erano giunti a Pianaccio.

A casa Berna, il 27 settembre, si scontrano con un reparto tedesco in ritirata dalla linea gotica: i partigiani riescono anche stavolta a sganciarsi, non senza difficoltà, e i tedeschi sfogano la loro rabbia contro gli abitanti di casa Berna: una trentina di persone, uomini, donne, bambini vengono fucilati. Poi il 28 i tedeschi giungono a Ronchidoso da dove parte una fucilata verso di loro. Il giorno dopo, per rappresaglia prendono in ostaggio la popolazione civile della zona e intanto si appostano sul crinale Monte Belvedere, Ronchidoso, Cargè. Gli ostaggi circa un'ottantina di persone, vengono fucilati e bruciati nel pomeriggio e solo quattro sfuggono al massacro. Operata la strage, i tedeschi scendono a Castelluccio con quattro donne, come ostaggio, e qui impiccano un partigiano francese detto Napoleone ( Lapeyrie Jacques), appartenente alla brigata Giustizia e Libertà. Con lui muoiono, fucilati, due ragazzi di Lizzano, catturati mentre stavano fuggendo a una deportazione in Germania. Alcuni giorni dopo, il 6 ottobre, in una sera piovosa e fredda, gli stesi ufficiali arrivano a Maserno. Gli ufficiali prendono alloggio a casa Morsiani e requisiscono la chiesa per adibirla parte a cucina e parte a scuderia. Per prima cosa chiedono vino e, bevuto tutto quello che sono riusciti ad ottenere, ne pretendono ancora, anche quando l'oste non è più in grado di fornirne. Cenano quindi a base di uova fritte nella sugna, accompagnando la sosta con clamori e grida da avvinazzati. Fortunatamente per la popolazione la sosta è breve: alle due di notte arriva l'ordine di partenza.

Siamo ormai in ottobre, un ottobre umido e piovoso; per i partigiani la situazione diventa critica: pur abbisognando di vestiario, di viveri, di alloggio e soffrendo a causa di malattie, non possono trovare aiuto presso la popolazione, resa ormai troppo diffidente dal timore della rappresaglia tedesca. Nel nostro comune, tuttavia, stando alle testimonianze ricevute, una rappresaglia vera e propria non si verificò mai. Si sà in proposito, secondo quanto afferma Armando, che si era stabilita tra le due parti, tedesca e partigiana, una sorta di accordo: " nella prima decina del mese di maggio", ci dice lo stesso Armando, "l'avvocato Destito e il dottor Fusetti mi notificarono la presenza, a Montese, di un maggiore tedesco, disponibile ad un incontro con il sottoscritto. L'incontro avvenne a Chiozzo e il tedesco promise che non avrebbe effettuato prelevamenti forzosi e mi avrebbe segnalato sia gli spostamenti delle SS sia delle eventuali spie fasciste.

Intanto la notizia che l'offensiva alleata è rimandata alla primavera successiva influisce negativamente sul già scosso morale dei partigiani. Tale notizia la ottiene direttamente Armando, a Pistoia, dal comando di linea della Va armata alleata, con cui egli è entrato in contatto.

Gli viene infatti comunicato che gli alleati hanno ricevuto l'ordine di non avanzare e di svernare nelle posizioni occupate. Pertanto parte degli uomini di Armando, da lui guidati, attraversa il fronte e questo contribuisce ad accentuare tra i partigiani rimasti una forma di disaccordo, basata sul fatto che alcuni di essi vorrebbero seguire quelli che hanno attraversato il fronte, mentre altri vorrebbero addirittura organizzarsi per marciare su Bologna. Il piano di questi ultimi non riesce a realizzarsi perché Armando non condivide l'idea ben sapendo che i suoi uomini, quasi tutti montanari, non sarebbero in grado di affrontare una guerriglia cittadina.

Intanto i partigiani che ormai si trovano sulle linee alleate, cominciano a prendere diretto contatto con gli americani per preparare un piano d'attacco che li avrebbe impegnati insieme nella lotta contro i tedeschi.

A questo proposito si riporta la testimonianza di Zaccaria Armando ("Dio"): "nella notte tra il 27 e 28 ottobre 1944, circa cinquecento dei nostri uomini si stavano preparando per effettuare l'offensiva su Monte Belvedere, appoggiati, secondo precedenti accordi, dall'artiglieria alleata. Muovendoci da Lizzano-Querciola, giungiamo nei pressi di Calcinara prima dell'alba, dove attendiamo il momento dell'attacco. Sorge a questo punto una discussione, sul piano strategico da adottare, tra un capitano dell'artiglieria e un tenente del genio, entrambi partigiani. Vengo chiamato in causa per esprimere un parere basato sulla conoscenza che avevo del luogo e mi assumo la responsabilità di far loro da guida.

Intanto l'artiglieria alleata, avendo impostato un tiro troppo corto, colpisce le postazioni alle nostre spalle. Con l'invio di una staffetta, si ottiene che il cannoneggiamento abbia termine. Avanziamo quindi fin sul crinale (quota 964). Allo spuntar del giorno inizia l'attacco al fortino tedesco situato su Monte Belvedere mentre le nostre mitragliatrici, piazzate sul crinale, sparano nella stessa direzione, effettuando un fuoco di copertura per noi partigiani che riusciamo pertanto a portarci sotto il fortino senza farci notare. Inizia il lancio di bombe a mano verso l'obbiettivo e si approfitta di una pausa del fuoco nemico per l'attacco nemico, mitra alla mano. Nel fortino principale alcuni tedeschi sono morti, undici vengono fatti prigionieri; altri sono catturati nelle postazioni adiacenti e in quelle di Calcinara e Casaccia.

Secondo gli accordi precedenti, ora il fortino è stato occupato, gli alleati avrebbero dovuto prenderne il presidio. Il segnale convenuto viene dato da un razzo fumogeno che io lancio circa alle 10. Restiamo in attesa fino alle ore 15 circa, in mezzo alla nebbia; il gran freddo ci tormenta: vestiamo con abiti leggeri e il disagio è maggiore perché non tocchiamo cibo dalla sera precedente. Verso mezzogiorno avevamo inviato due combattenti, Bruno Bernabei e il fratello Primo, a Lizzano a rifornirsi di viveri in un nostro magazzino. Tornavano con un mulo carico, quando furono sorpresi da due soldati tedeschi che aprirono il fuoco su di loro. Dell'imboscata rimase vittima un certo Armandin di Lizzano che si era unito ai due fratelli nel viaggio di ritorno; essi riuscirono a mettersi in salvo.

Verso le 15 giunge da Lizzano una staffetta inviata da Armando per riferire che gli alleati non verranno a prendere possesso delle postazioni e per comunicarci l'ordine di retrocedere alle postazioni di partenza. L'ordine non si può discutere, ma il nostro animo è amareggiato; l'azione è stata inutile e sfuma la possibilità di liberare Montese".

Da altre testimonianze risulta che, contemporaneamente, la brigata Matteotti si muove da Gabba, in direzione di Ronchidoso, dove si congiunge con la brigata Giustizia e libertà proveniente da Gaggio Montano. Il mancato intervento alleato su tutto il crinale fa sì che i tedeschi, ritiratesi, secondo alcune testimonianze, fino al Panaro, riacquistino fiducia e ternino ad occupare tutte le posizioni precedenti.

Ai primi di novembre, a Maserno, alcuni ufficiali tedeschi, riunitisi nella canonica, stabiliscono, carte topografiche alla mano, la nuova linea difensiva; rinsaldano le vecchie postazioni e ne creano di nuove, dotandole di pezzi di artiglieria pesante.

Da questo momento cessa nella valle del Panaro ogni linea e la cosiddetta "linea Verde" di Kesselring si sposta si Monte Belvedere-Ronchidoso.Cargè-Monte Castello-Monte Vedette. Il fronte, in queste posizioni, verrà ispezionato dallo stesso Kesselring. Nel frattempo, il 5 novembre, i partigiani appartenenti a diverse brigate di Armando erano stati accerchiati a Benedello da forze tedesche. La battaglia era durata tutta la giornata e in essa molti avevano perso la vita: tale battaglia avrebbe potuto avere esiti ancora peggiori se non fossero intervenuti alcuni aerei alleati che bombardarono e mitragliarono le postazioni tedesche, riuscendo così ad aprire ai partigiani una via di scampo per il loro sganciamento verso il Panaro. Riescono così a portarsi verso la sponda destra del fiume e raggiungono Montespecchio. Non potendo fermarvisi a causa della presenza di tedeschi nella zona, il 10 novembre varcano il fronte.

Da questo momento cessa nella valle del Panaro ogni attività partigiana organizzata, anche in riferimento al proclama di Alexander. Nel frattempo, i partigiani di Armando, lasciate le armi a Lizzano, si ritirano a Pescia, dove restano dal 28 febbraio fino alla metà di marzo, per la ricostituzione degli effettivi.

All'assenza dei partigiani fa riscontro un periodo di tranquillità per quanto riguarda il timore della rappresaglia tedesca. E la popolazione crede di poter respirare. Ma ecco che un nuovo fatto viene a turbare e a sconvolgere la vita di questa gente, già così duramente provata: si tratta del reclutamento di tutti gli uomini validi per la Todt. A questo fine viene effettuato un rastrellamento che non tiene conto di niente e di nessuno: non ne rimangono esclusi nemmeno i capi fascisti, con gran compiacimento di chi fascista non è.

E così la nostra gente si trova costretta a sacrificare i "suoi" boschi e le "sue" pinete per la costruzione di bunker, di rifugi, di trincee. E non solo gli uomini sono considerati a disposizione dei tedeschi, ma anche le donne che vengono reclutate per lavori di cucina e di pulizia.

Chi possiede buoi o cavalli ( di questi ultimi se ancora ce ne sono) è costretto a presentarsi alla pericolosa azione di trasporto di munizioni al fronte, con il continuo rischio di subire mitragliamenti aerei da parte degli alleati. Gli abitanti della zona di Maserno, Castelluccio e Montespecchio ricevono l'ordine di scavare trincee e bunker, parte a Ronchidoso, Monte Belvedere e parte a Serretta-Riva e zone circostanti; quelli di Jola vengono dislocati a Cargè. Gli abitanti di Montese sono addetti alle fortificazioni di di Ponticello; quelli della zona di Salto e S.Martino si trovano costretti a lavorare per costruire un tronco di strada in grado di allacciare quella del Mingolino con quella di Villa d'Aiano.

Siamo ormai in pieno inverno e i soldati tedeschi, finiti i loro rifornimenti, e affamati, cominciano le ruberie presso i civili. Nessun pollaio è risparmiato ed ogni stalla subisce la loro razzia. Ma l'animale a cui và la loro preferenza è il maiale. A questo punto nasce una vera gara di astuzie: da parte dei civili che escogitano mille accorgimenti per nasconderle, e quindi assicurarle dalla razzia, animali e viveri; e da parte dei tedeschi che dimostrano un fiuto particolare nello scovare i nascondigli.

Ora, tuttavia, il terrore più grande della gente è quello dei cannoneggiamenti e dei bombardamenti alleati che avevano cominciato a farsi sentire verso la metà di ottobre e che, da allora, erano sempre stati più frequenti e violenti. E' il 2 dicembre che i bombardamenti cominciano ad arrecare gravi danni: in quel giorno vengono infatti presi di mira Maserno e Montese. Anche Castelluccio viene colpito da granate. Scrive don Giovanni Barbieri nekl suo diario: "se in omaggio al proverbio di Santa Bibiana la faccenda odierna dovesse durare quaranta giorni, poveri noi!".

A Maserno, in particolare, sono colpiti il fondo Pieve (completamente distrutto) e una parte di casa Spuntiglia. A Montese, il bombardamento colpisce il palazzo comunale, sede anche delle scuole, distruggendolo completamente (si trovava circa dove ora sorge la pensione Gea). In piazza Mussolini (ora piazza della Repubblica) cadono due bombe: una danneggia seriamente l'albergo Belvedere e l'altra sfonda l'odierno palazzo di Gaggioli ( allora albego Zanni). Tutti questi danni, a Montese, vengono ad aggiungersi a quelli già provocati nel settembre e nel novembre, quando erano stati presi di mira il Cerro e la Torre, sulla quale erano stati lanciati degli spezzoni incendiari.

In seguito a tali fatti e prospettandosi la situazione sempre più pericolosa, si comincia a prendere in seria considerazione, da parte dei tedeschi, l'idea dello sfollamento generale della popolazione civile. Ecco quanto è riportato in proposito nel diario di don Giovanni Barbieri:

12-XII: in serata apprendo che ieri a Montese vi fu una riunione di parroci per discutere, con un ufficiale tedesco, circa l'evacuazione della popolazione. Si dice che Castelluccio sia da sgombrarsi sino al Dardagnola!! Anche parte di Maserno deve sfollare!... Non sono stato presente a detta adunanza per non essere stato avvisato: decido e vado a Maserno per prendere contatto con quell'ufficiale che risiede a Montese.

13-XII: da Maserno, ove ho pernottato, mi reco con l'arciprete a Montese e di lì bisogna andare a S.Martino perché il comando è stato trasferito laggiù! Andiamo da don Covi che ha in casa un prete interprete e quasi factotum del comandante: è tedesco in tutto! di poche parole, secche, metalliche... bisogna sfollare "entro il 19... chi sarà trovato nel territorio da evacuarsi sarà fucilato!...:" ripartiamo e su per il Bosco Grosso accompagnati da leggera pioggia: di nuovo pernotto a Maserno ed al mattino a Castelluccio... atteso con ansia.

15-XII: la popolazione è sgomenta ed a ragione, dovendo sfollare. Il comandante dell'artiglieria "alla Possione" mi dice: "chi vuole resti...a me non dà noia". E' una bella consolazione, ma anche un bel pericolo. E sfollare...dove? sempre a nord. E dover lasciare la casa... e la roba ? Sono momenti che il consigliare è pericoloso .

16-XII: oggi di nuovo in giro a S.Martino: ritorno con lo stesso imperativo. Il comandante della Possione permette sì di rimanere, a tutto nostro rischio, ma vuole operai per lavori alle postazioni: si offrono tutti quelli del vicinato e si .... respira.

17-XII: bombardamenti alla Riva. La popolazione in vista di non poter trasportare nulla o quasi, ed essendo ancora difficile il ricovero nel versante nord..in Montespecchio, e poi sempre forse più giù, decide di farsi fucilare piuttosto che partire... e lavorare invece con i tedeschi piuttosto che esporsi ad una serie di guai evidenti, specie per chi ha vecchi e bambini da trasportare, e senza vestiti e scarpe. Se l'autorità germanica provvede bene; in caso diverso morte per morte! Questa la situazione tragica dell'ora... Parce, Domine, parce populo tuo! Pecore e Pastore subiranno la stessa fine.

Chi poi sfollerà, lo farà non tanto per obbedire alle ingiunzioni tedesche, quanto per evitare il pericolo dei bombardamenti, per togliersi da abitazioni che di tale non avranno più niente e nella speranza di trovare, al di là del fronte, chi possa aiutarli a sopravvivere.

Lo sfollamento, diretto a sud (anche se l'ordine era stato dato di seguire la direzione opposta), seguirà lo spostamento del fronte: a quelli di Jola, che già avevano abbandonato la zona in novembre, seguiranno quelli di Castelluccio, poi di Maserno e Montese, e quindi di Salto, S. Martino e Ranocchio.

Si arriva così a Natale: un Natale di sangue; il rumore delle cannonate copre nei cuori l'aspettativa di questa festa religiosa. Ma una novità viene a sorprendere tutti: quei tedeschi dal sangue freddo, secchi ed imperiosi, sentono in fascino di questa festa e organizzano la preparazione di grandi alberi natalizi innalzati nelle piazze che, con le loro luci, sembrano, anche se solo per poco, far dimenticare il tragico momento. Per un attimo ci si sente quasi accomunati a questa gente che, lontana dalla propria casa, deve, in fondo, obbedire a degli ordini, primo fra i quali quello tremendo di uccidere. Perché questa è la guerra: uccidere per non venire uccisi.

E a capodanno le sorprese non sono ancora finite: a Silla, secondo quanto racconta Celestino Manni, il primo gennaio arriva agli alleati, da parte tedesca, un proiettile che non può esplodere cadendo e su cui si può leggere: buon anno. Sempre a capodanno, a Maserno, i tedeschi salgono sul campanile e suonano le campane. Ma il Natale e capodanno passano presto e ogni tedesco ritorna soldato, ogni uomo ritrova la sua paura, il suo terrore, il suo disagio.

Tale disagio è aggravato dalla situazione meteorologica: l'inverno è freddo e cade tanta neve: la temperatura scende a meno otto e la neve caduta raggiunge, in alcuni posto, il metro di altezza. il che costringe, tra l'altro, i civili al lavoro di spalatura e al trasporto dei feritim mediante slitta. E il clima sembra ncor più rigido nelle case scoperchiate e parzialmente distrutte nelle quali non ci si può riparare dal freddo e che, quando arriverà il disgelo, si ridurranno a luoghi umidi e fradici in cui entra acqua da tutte le parti.

Troppo spesso la storia chiama eroi solo quelli che muoiono in combattimento e si ricorda di chi promuove o conduce una guerra, mentre dimentica le sofferenze di chi vive quotidianamente, sia arrampicato su una roccia, sia nascosto in una capanna o in un rifugio.

Per noi è storia anche la sofferenza quotidiana della popolazione civile e personaggi di rilievo sono anche quelli costretti a vivere con la continua paura di un bombardamento, di una razzia, di una rappresaglia. Sono protagonisti anche quelli che devono dibattersi ogni giorno in una situazione nuova, vivendo nel continuo terrore di sentir bussare, improvvisamente, alla porta senza sapere se si possa trattare di un fascista che cerca un disertore, di una spia travestita, di inferocite SS pronte a colpire anche gli innocenti, di cupidi brasiliani in cerca di avventure amorose, di un povero disgraziato che non ha più nè da mangiare nè da dormire.

Questo ultimo dramma è stato vissuto dalla nostra gente, giorno dopo giorno, per più di un anno. E allora, ogni sera, dopo il tramonto, bisogna chiudersi in casa, oscurare le finestre e porte, non accendere nè luci e fuoco, per non correre il rischio di venire individuati da pattuglie in perlustrazione o, peggio ancora, dal famigerato aereo da ricognizione chiamato famigliarmente "Pippo" o "Cicogna".

Si devono lasciare sciupare nei campi minati le patate che rappresentano uno dei pochi mezzi di sostentamento. La miseria e l'indigenza provocano tante malattie che non possono essere curate per le difficoltà di reperire un medico e la scarsità del materiale sanitario.

Ogni giorno si aspetta notizia del figlio lontano o del congiunto che ha passato il fronte, ma l'attesa è carica di tensione perchè giungono, il più delle volte, notizie di morte. La nostra gente, di animo semplice, buona, abituata al contatto diretto con la natura, si trova improvvisamente scaraventata in un caos delle cui cause ed effetti non sa rendersi pienamente conto.

E la stessa guerra, che sulla popolazione si scatena feroce, non è in grado di alterarne la caratteristica, che è la solidarietà verso gli altri. E così non è raro, la sera, che si trovino in tanti in una casa, accomunati dal dolore, dalle disgrazie, dai lutti, pronti a rallegrarsi tutti per la gioia di uno come ad unirsi alla sua disperazione.

E tutti uniti, con la stessa ansia, con la stessa attesa di notizie, solidali con chi, al fronte, combatte per sé e per loro, ascoltano Radio Londra dai pochi apparecchi radio messi assieme in qualche modo e tenuti accuratamente nascosti.

Impegnati sopratutto a considerare la situazione umana della popolazione coi problemi che di giorno in giorno essa deve affrontare, si è perso di vista, per un attimo, lo svolgimento della situazione militare che qui pertanto viene ripreso, con qualche riferimento a fatti verificatesi precedentemente.

A questo punto, si è già delineata l'importanza che M.te Belvedere, M.te Castello e M.te Torraccia assumono nello svolgimento delle operazioni militari, con particolare riferimento a M.te Belvedere che, fino ad ora, è stato teatro di alterne vicende ora a favore dei partigiani, ora dei tedeschi, ora degli alleati. Quando la situazione sembrava definita in mano agli americani, la notte tra il 28 e 29 novembre, come si è già accennato, i tedeschi contrattaccarono e respinsero gli alleati, facendo una sessantina di prigionieri e distruggendo alcuni carri armati. La perdita di questa postazione chiave pesò a costituire una seria minaccia al fianco sinistro della divisione brasiliana che stava operando per la conquista di M.te Castello. Agli americani interessava, nel frattempo, togliere ai tedeschi, che allora occupavano anche la zona di M.te Castello e M.te Torraccia, il controllo della via Porrettana e a questo fine avevano ideato il sistema di creare una continua cortina fumogena che offuscava tutta la zona da Porretta a Silla, provvedendo inoltre ad occultare i tratti di strada, che restavano scoperti, mediante l'uso di teloni, disposti in modo da nascondere il passaggio delle colonne americane. Quindi, in vista del possesso del crinale da M.te Belvedere a M.te Castello, intensificarono i cannoneggiamenti dando inizio anche ad una grande attività aerea di bombardamento. Fu in questa occasione che, come s'è già detto, Maserno e Montese subirono il primo grande bombardamento.

A questo punto, la preoccupazione maggiore degli alleati era quella di conquistare tutta la cresta prima dell'arrivo dell'inverno. E infatti, il 12 dicembre, i brasiliani ricevettero l'ordine dal comandante del IV° corpo d'Armata di sferrare la seconda offensiva verso M.te Castello. Ma i tedeschi mantennero una feroce resistenza e l'impresa fallì, probabilmente anche perché quell'unica divisione brasiliana in azione si trovò isolata nell'attacco e col rischio di venire circondata alle spalle dai tedeschi che ancora tenevano saldamente M.te Belvedere.

Segue un periodo di relativa stasi, dovuta anche alla difficoltà di spostamento causata dalla neve. Tale periodo non è tuttavia improduttivo: serve all'esercito alleato per la preparazione del nuovo piano d'attacco. Tra l'altro, si effettua, nelle file dell'esercito alleato, l'inserimento di alcune brigate partigiane, mentre, nelle file tedesche, comincia qualche diserzione, registrata sopratutto tra i soldati delle popolazioni assoggettate: polacchi, slavi, austriaci.

E così si arriva a febbraio: al crudo inverno subentra una primavera precoce e tiepida, quasi una promessa di compensazione ai rigori, alle privazioni e alle sofferenze dell'inverno. Ma con la primavera inizia la grande avanzata alleata che farà registrare ancora lutti e dolori.

Infatti la concretizzazione del lavoro invernale di preparazione ha inizio il 19 febbraio con la conquista del crinale Monte della Riva, Polla, Corona, Belvedere, operata dagli americani che, il 21 febbraio, arrivano a nord della cappella di Ronchidoso. Contemporaneamente la Xa divisione da montagna brasiliana [ gli autori si riferiscono alla 10a divisione da montagna americana. N.d.R.] , alle ore 14.30 occupa il Cargè e l'Abetaia e alle ore 17.20, finalmente, la resistenza tedesca di M.te Castello è infranta.

Tutta questa avanzata è preceduta da intensi cannoneggiamenti e bombardamenti che causano la morte di molti civili, sopratutto nella zona di Montese e Castelluccio. A Montese, infatti, i bombardamenti iniziano la mattina del 20 febbraio, verso le otto. Quattro incursioni aeree colpiscono casa Morini (distrutta completamente), le Coste e la Torre, facendo registrare, fra la popolazione civile, quattro morti. Il bombardamento è seguito da un nutrito mitragliamento. Castelluccio è fortemente martellato il 2 febbraio, quando, in due ondate successive, i bombardamenti determinano una decina di morti civili.

La conquista di M.te Castello, ad opera dei brasiliani e americani, fa si che il fronte tedesco indietreggi sulla linea che si estende dal M.te Torraccia verso nord-est, appoggiandosi al M.te Terminale-Bicocchi-Campo del Sole. A una stasi di operazioni militari vere e proprie, fa riscontro una serie di bombardamenti indiscriminati, senza riguardi per nessuno: il 27 febbraio un nuovo bombardamento infierisce su Maserno seguito, a breve distanza (il 10 Marzo), da un altro che brucia tutte le case della piazza e danneggia la chiesa.

Tranne Montespecchio, tutti gli altri paesi subiscono gravissimi danni ad opera dei bombardamenti e particolarmente colpite sono, oltre al già citato Maserno, le località di Montese, Iola, Castelluccio, Salto. Aumenta il fenomeno dei civili che, sotto l'incalzare dei cannoneggiamenti e bombardamenti, si trovano costretti a sfollare, cercando di prendersi dietro tutto quello che, in un modo o nell'altro, possono trasportare. L'esodo è totale perché, anche i più restii ad andarsene, vi sono costretti dagli avvenimenti. Non è raro vedere lunghe colonne che procedono lentamente e confusamente, fortunatamente non fermate nè dirottate dai tedeschi che, secondo testimonianze raccolte, pur notando questi movimenti che ormai si effettuano anche di giorno, li tollerano fingendo di non vederli. Ma questa povera gente sta ancora cercando di di sfuggire a un pericolo che già un'altro viene a mietere nuove vittime: si tratta delle mine con cui i tedeschi, in ritirata, avevano disseminato la zona. Quel mese di marzo, pur privo di scontri fra truppe, rimane tuttavia come un tragico e triste ricordo, per i morti annoverati a causa di mine, bombardamenti e mitragliamenti aerei.

Tutto ciò è causa anche di gravi danni materiali che permettono poi il dilagare della fame, della miseria e della difterite che miete anch'essa la sua parte di vittime.

Il 7 Aprile 1945 inizia, ad opera dei brasiliani [ l'attacco fu condotto su un fronte ampio da tutte le forze alleate. N.d.R.], la cosiddetta "offensiva di primavera" che, terminata poi con la conquista di Montese [in realtà l'offensiva di primavera prevedeva lo sfondamento del fronte tedesco e il dilagare di tutte le truppe alleate verso la pianura padana. N.d.R.], "rappresenta una grande vittoria dell'esercito brasiliano perché era voce tra la truppa che i tedeschi volevano rimanere padroni assoluti di Montese". A questo fine, infatti, i tedeschi avevano rinsaldato le linee con forze nuove, i famosi Cacciatori delle Alpi di Comacchio, provenienti, appunto, a marcia forzata, da Comacchio, dove si trovavano in riposo dopo avere saldamente retto la testa di ponte di Anzio.

All'inizio dell'ultima decisiva offensiva la linea di partenza delle forze brasiliane è la seguente: Cappella di Ronchidoso-Le Grotte-Albarelli-Melchiorri-Monteforte-Lama-Campo del Sole-Nuvolaia-Sassomolare. Il comando generale è a Gaggio Montano e l'osservatorio del Corpo di Divisione Brasiliano è dislocato a Sassomolare da dove il generale J.B. Mascarenhas de Moraes, dirige l'azione che punta decisamente su Montese.

L'attacco inizia il 14 aprile, quando già due battaglioni difendono la zona di Monteforte e Monte Nuvolaia. L'operazione militare di questo giorno è divisa in due fasi: la prima prevede l'avanzamento delle truppe fino all'occupazione della linea Casone-Cerro-Possessione (quota 745); l'altra prevede un'azione di rottura che si propone la conquista di Montese-Montello ( quota 888). La reazione tedesca è durissima sopratutto nella zona Creda-Possessione-Paravento.

 

 

 

 

 

 

L'attacco vero e proprio inizia alle ore 13.30 preceduto da un intenso fuoco di artiglieria. Un battaglione, appoggiato sui due fianchi, attacca nella direzione di Casone-Cimitero della Torre. Così mentre da una parte si avanza verso Monteaurigola-Montese-Doccia, dall'altra si attacca nella direzione di Possessione-Cà Bortolino. L'operazione ha l'appoggio dei carri armati americani che si muovono in direzione di Serretto.

Verso le ore 15, un reggimento penetra in Montese, disorganizzando le difese nemiche e alle ore 15.15 conquista Serretto portandosi in prossimità di Paravento. Intanto i mezzi blindati americani continuano ad avanzare e, poco prima delle 18, si trovano nei pressi di Monte Buffone, seguiti da vicino dalla fanteria Brasiliana, allora situata nella zona tra Serretto e Monte Buffone. Il fuoco tedesco, proveniente dalla zona a nord di Paravento, è nutrito e senza interruzione. Ma i Brasiliani, per niente scoraggiati, attaccano anzi con maggior vigore.

E' ormai il crepuscolo e la fanteria brasiliana, attaccando e superando l'ostinata resistenza nemica, riesce, dopo grandi sforzi, a fine giornata, ad impadronirsi definitivamente della linea Maserno-Montese-Serretto.

I tedeschi, ostinati, lottano ancora nella zona di Monte Buffone e bombardano, con i loro cannoni e mortai, le postazioni che i brasiliani avevano conquistato in questa difficile giornata: sembra che non intendano assolutamente darsi per vinti, anzi molti fatti lasciano credere in un loro prossimo contrattacco al fine di recuperare le postazioni di Montese e Serretto.

La mattina del 15 Aprile i brasiliani iniziano l'offensiva su Monte Buffone, Montello (quota 888), e Monte della Croce (quota 927). Monte Buffone viene occupato alle ore 11.45 e un'ora dopo le vecchie case del Montello sono completamente distrutte. Seguono l'occupazione di Possessione e Paravento da cui i brasiliani intendono spingersi sino a Braina, dove però sono dislocare parecchie mitragliatrici tedesche che ritardano la riuscita dell'operazione.


Il giorno seguente, il 16 aprile, le operazioni brasiliane si dirigono decisamente verso il fronte orientale liberando Cà Bortolino, Braina, Paiarolo.

 



Montese, intanto, incessantemente martellato dall'artiglieria tedesca e alleata, si sta trasformando in un vero e proprio inferno. La battaglia continua anche il giorno 17, quando alcuni reparti brasiliani vengono sostituiti con altri che avevano combattuto precedentemente a Iola [ Iola fu presa da una compagnia dell'86° reggimento della 10a divisione da montagna americana. N.d.R.], Tamburini e Campo del Sole. E il 17 segna la giornata conclusiva della "battaglia di Montese" che, per i brasiliani, è stata la più dura combattuta in Italia e che ha costituito per loro il palco di una importante vittoria definitiva, tuttavia "dal sapore umano".


La guerra a Montese, come fra poco in tutta Italia, è questa volta davvero alla conclusione: ha lasciato dietro di sè morti, feriti, persone private della casa e degli affetti più cari: un campo desolato dove tutto è ora da rifare e dove la gente, che pure ha tanto sofferto, non ha nemmeno il tempo di piangere perché bisogna affrettarsi a ricostruire e a ricostruirsi.

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Crediti

        Link all'accreditamento dell'Associazione discendenti della 10a Divisione da Montagna